giovedì 13 marzo 2014

Recensioni




                        “Non c’è orario per i desideri”: un viaggio nell’anima.





Attenti cacciatori di anime: tuffatevi in questo romanzo e comincerà per voi un viaggio straordinario, che vi porterà ai confini dell’anima, nelle sue più profonde profondità. Il romanzo della Gangemi è un’autentica avventura spirituale, un’immersione nel mare dell’interiorità, proiettata entro la cornice paesaggistica di una splendida Taranto, tutta mare cristallino, sole abbacinante, scogli perigliosi e fantastiche nuotate, con le ciminiere dell’Ilva che, per fortuna, fanno capolino solo di tanto in tanto.

Si viaggia “inside”, dentro l’anima: l’anima della scrittrice, Letizia, onnipresente grazie al suo inconfondibile stile forbito, “fiorentino”; l’anima della protagonista, molto simile a lei tanto nell’impegno altruistico e nella passione politica quanto nella consapevole ricerca delle emozioni più belle; l’anima dei personaggi, anime narranti storie che mirabilmente si incastrano le une con le altre come in uno splendido mosaico orientale, il meraviglioso mosaico della vita.

La figura dominante del romanzo, che funge un po’ da “alter ego” di Giada, la protagonista, è quella di nonna Lucia , un’attempata e gioviale maestra in pensione, dai toni ironici e pre-sessantottini: è lei a dare l’imprinting fondamentale alla narrazione, con la frase, assurta quasi a livello di massima, “Non c’è orario per i desideri”. Ad un tempo anticonformista e tradizionalista, la nonna è una persona autentica, simpatica, divertente, “giovanissima” con i suoi graffianti “sfottò”.

Con lei riemerge la vena autobiografica dell’autrice, ad esprimere il suo carattere saggio e riflessivo ma anche allegro e disincantato, il suo brio umbro-toscano ma anche la sua formazione e le sue esperienze di vita e perciò il richiamo alle sue radici, il legame con la sua terra e le sue tradizioni.

Il testo sembra, quindi, incanalarsi nella formula classica del bildungsroman, che si realizza attraverso le storie parallele dei personaggi, tutti giunti ad un punto cruciale della loro esistenza. Giada, in particolare, non riesce a dare compiutezza ai propri sentimenti d’amore a causa di un trauma gravissimo, la separazione forzata dal figlio appena nato, a cui è stata obbligata dai genitori quando era ancora adolescente. Questo irrisolto segna in modo ineluttabile la sua anima e l’intera trama del romanzo, come un filo rosso conduttore che, tuttavia, alla fine, le permette di uscire dal labirinto intricato dei suoi conflitti spirituali e di specchiarsi negli splendidi occhi sorridenti di suo figlio, verdi come i suoi.

La narratrice usa le tecniche di scrittura più all’avanguardia nella letteratura psicologica e introspettiva, dal flash-back allo stream of consciousness, attraverso il dipanarsi veloce e coinvolgente delle vicende, reso attraverso un linguaggio asciutto e realistico, a volte perfino un po’ tagliente, sebbene insieme sapiente e raffinato: il ritmo della prosa è sostenuto, con un andamento vivace, brillante ed avvincente, che non annoia mai il lettore, ma anzi lo stimola e lo diverte.

La trama del romanzo si articola attraverso l’incontro di diversi piani di narrazione, che pongono i personaggi in un ruolo quasi da co-protagonisti, in quanto tutti legati al vissuto di Giada. Il lettore, immedesimandosi nel suo mondo interiore, viaggia con i suoi occhi, la sua mente e il suo cuore, trascinato in un flusso di emozioni eventi e situazioni così vorticoso da togliere il fiato: la lettura è veloce ed appassionante, il libro si legge in un soffio.



Nella seconda metà del Novecento Milan Kundera ha creato un vero e proprio caso letterario con il suo romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, da vero “poeta forte”, per dirla con Harold Bloom. Il poeta forte, per il critico americano, è l’anti-eroe, l’inattuale rispetto al suo tempo, al di là di ogni schema o norma estetica e morale, è colui che, consapevolmente o no, creando ed auto-creandosi, stabilisce lui stesso le regole in base alle quali vuole essere giudicato. È, dunque, l’esteta, il rivoluzionario che ha deciso finalmente di abbandonare lo sterile ed inutilmente ascetico inseguimento di un “sublime” impossibile, irraggiungibile ed irrealizzabile nel “qui ed ora” e di accontentarsi del “semplicemente bello”; un esteta, tuttavia, giusto e coraggioso, nella misura in cui riesce talvolta a trasformare la ricerca della bellezza, realizzata attraverso un ambiguo e pericoloso confondersi di arte e vita, vita ed arte, in impegno altruistico e passione politica. L’atmosfera intellettuale è quella del postmodernism contemporaneo, un caotico accalcarsi e moltiplicarsi all’infinito di nuovi linguaggi, stili e messaggi, che rivela la totale perdita di centro, di punti di riferimento, che siano certezze o parametri formali. In questa temperie la vecchia concezione metafisica della realtà è soppiantata da una nuova prospettiva , in cui siamo tutti figli del tempo e del caso… Il poeta forte fa tesoro di questa nuova consapevolezza e, non più alla ricerca di verità assolute e mondi ultraterreni, vuole forse soltanto peace and love, Paradise now, per fare il verso al Living Theatre.

Nella totale perdita di senso e di logica dilagante non crede più nel riscatto ultraterreno, nella redenzione che sola conferisce eternità ma, persa per sempre perfino la speranza nel potere immortalizzante dell’arte, si lascia, come ultimo itinerario possibile, quello dell’ironia.

Kundera crea, dunque, un genere di scrittura nuovo ed originale, il romanzo post-moderno, che sostanzia la formula narrativa di un complesso contenuto filosofico-esistenziale: esso fonde,in fatti, linguaggi e messaggi, estetica e politica, psicologia e sociologia, poesia e letteratura, in uno straordinario crogiuolo, attraverso un ironico e destrutturante rimescolarsi di vite. Si tratta, appunto, del “romanzo filosofico”, che associa intenti spiccatamente estetico-narrativi con un impegno molto più profondo e problematico, per quanto pervaso dalla “leggerezza” dell’ironia.

Tale impegno è d’altra parte riconoscibile in una vasta gamma di scrittori contemporanei, da Proust a Salinger, da Joyce a Kerouack, da Dickens a Bucowski, da Nabokov a Orwell, da Nietzsche a Gibran, fino al nostro illustre Umberto Eco ed alla vena di sfumata, disincantata e comunque divertita ironia che traluce dai suoi romanzi.

Se, perciò, Kundera e tutti gli altri prosatori hanno raggiunto un livello di complessità e spessore intellettuale ed artistico tale da sfiorare le vette più elevate del genio estetico-letterario, Maria Letizia Gangemi non si dimostra affatto di inferiore levatura nel saper costruire un intreccio tanto appassionante quanto pervaso di sensibilità, profondità, impegno politico, raffinata capacità tecnico-stilistica. L’autrice, infatti, affida alla propria narrazione importanti messaggi riguardo al senso profondo di sentimenti essenziali come l’umana solidarietà, l’amicizia e, naturalmente, l’amore, sia filiale che di coppia, quali legami autentici tra tutti gli esseri viventi, umani e non. Il romanzo disegna, appunto, attraverso i desideri, una rete magica di corrispondenze e coincidenze, che sembra misteriosamente guidare ciascun personaggio verso il proprio segreto destino.

Il mondo degli uomini con le sue ombre e la natura, il mare, in particolare, con tutta la sua energia e bellezza, non fanno soltanto da sfondo alle vicende, ma le pervadono di un significato ancestrale e fortemente simbolico.

                                               Ornella Carrino



                                               Taranto, 8 marzo ’14
Poiché non riesco ad aggiungere altre foto, posto questa bella recensione di Ornella, mia cara amica e docente presso il Liceo Aristosseno di Taranto, la sua mi sembra una gran bella recensione...

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