“Non c’è
orario per i desideri”: un viaggio nell’anima.
Attenti
cacciatori di anime: tuffatevi in questo romanzo e comincerà per voi
un viaggio straordinario, che vi porterà ai confini dell’anima,
nelle sue più profonde profondità. Il romanzo della Gangemi è
un’autentica avventura spirituale, un’immersione nel mare
dell’interiorità, proiettata entro la cornice paesaggistica di una
splendida Taranto, tutta mare cristallino, sole abbacinante, scogli
perigliosi e fantastiche nuotate, con le ciminiere dell’Ilva che,
per fortuna, fanno capolino solo di tanto in tanto.
Si
viaggia “inside”, dentro l’anima: l’anima della scrittrice,
Letizia, onnipresente grazie al suo inconfondibile stile forbito,
“fiorentino”; l’anima della protagonista, molto simile a lei
tanto nell’impegno altruistico e nella passione politica quanto
nella consapevole ricerca delle emozioni più belle; l’anima dei
personaggi, anime narranti storie che mirabilmente si incastrano le
une con le altre come in uno splendido mosaico orientale, il
meraviglioso mosaico della vita.
La
figura dominante del romanzo, che funge un po’ da “alter ego”
di Giada, la protagonista, è quella di nonna Lucia , un’attempata
e gioviale maestra in pensione, dai toni ironici e pre-sessantottini:
è lei a dare l’imprinting fondamentale alla narrazione, con
la frase, assurta quasi a livello di massima, “Non c’è orario
per i desideri”. Ad un tempo anticonformista e tradizionalista, la
nonna è una persona autentica, simpatica, divertente, “giovanissima”
con i suoi graffianti “sfottò”.
Con
lei riemerge la vena autobiografica dell’autrice, ad esprimere il
suo carattere saggio e riflessivo ma anche allegro e disincantato, il
suo brio umbro-toscano ma anche la sua formazione e le sue esperienze
di vita e perciò il richiamo alle sue radici, il legame con la sua
terra e le sue tradizioni.
Il
testo sembra, quindi, incanalarsi nella formula classica del
bildungsroman, che si realizza attraverso le
storie parallele dei personaggi, tutti giunti ad un punto cruciale
della loro esistenza. Giada, in particolare, non riesce a dare
compiutezza ai propri sentimenti d’amore a causa di un trauma
gravissimo, la separazione forzata dal figlio appena nato, a cui è
stata obbligata dai genitori quando era ancora adolescente. Questo
irrisolto segna in modo ineluttabile la sua anima e l’intera trama
del romanzo, come un filo rosso conduttore che, tuttavia, alla fine,
le permette di uscire dal labirinto intricato dei suoi conflitti
spirituali e di specchiarsi negli splendidi occhi sorridenti di suo
figlio, verdi come i suoi.
La
narratrice usa le tecniche di scrittura più all’avanguardia nella
letteratura psicologica e introspettiva, dal flash-back allo
stream of consciousness, attraverso il dipanarsi veloce e
coinvolgente delle vicende, reso attraverso un linguaggio asciutto e
realistico, a volte perfino un po’ tagliente, sebbene insieme
sapiente e raffinato: il ritmo della prosa è sostenuto, con un
andamento vivace, brillante ed avvincente, che non annoia mai il
lettore, ma anzi lo stimola e lo diverte.
La
trama del romanzo si articola attraverso l’incontro di diversi
piani di narrazione, che pongono i personaggi in un ruolo quasi da
co-protagonisti, in quanto tutti legati al vissuto di Giada. Il
lettore, immedesimandosi nel suo mondo interiore, viaggia con i suoi
occhi, la sua mente e il suo cuore, trascinato in un flusso di
emozioni eventi e situazioni così vorticoso da togliere il fiato: la
lettura è veloce ed appassionante, il libro si legge in un soffio.
Nella
seconda metà del Novecento Milan Kundera ha creato un vero e proprio
caso letterario con il suo romanzo “L’insostenibile leggerezza
dell’essere”, da vero “poeta forte”, per dirla con Harold
Bloom. Il poeta forte, per il critico americano, è l’anti-eroe,
l’inattuale rispetto al suo tempo, al di là di ogni schema o norma
estetica e morale, è colui che, consapevolmente o no, creando ed
auto-creandosi, stabilisce lui stesso le regole in base alle quali
vuole essere giudicato. È, dunque, l’esteta, il rivoluzionario che
ha deciso finalmente di abbandonare lo sterile ed inutilmente
ascetico inseguimento di un “sublime” impossibile,
irraggiungibile ed irrealizzabile nel “qui ed ora” e di
accontentarsi del “semplicemente bello”; un esteta, tuttavia,
giusto e coraggioso, nella misura in cui riesce talvolta a
trasformare la ricerca della bellezza, realizzata attraverso un
ambiguo e pericoloso confondersi di arte e vita, vita ed arte, in
impegno altruistico e passione politica. L’atmosfera intellettuale
è quella del postmodernism contemporaneo, un caotico
accalcarsi e moltiplicarsi all’infinito di nuovi linguaggi, stili e
messaggi, che rivela la totale perdita di centro, di punti di
riferimento, che siano certezze o parametri formali. In questa
temperie la vecchia concezione metafisica della realtà è
soppiantata da una nuova prospettiva , in cui siamo tutti figli del
tempo e del caso… Il poeta forte fa tesoro di questa nuova
consapevolezza e, non più alla ricerca di verità assolute e mondi
ultraterreni, vuole forse soltanto peace and love, Paradise
now, per fare il verso al Living Theatre.
Nella
totale perdita di senso e di logica dilagante non crede più nel
riscatto ultraterreno, nella redenzione che sola conferisce eternità
ma, persa per sempre perfino la speranza nel potere immortalizzante
dell’arte, si lascia, come ultimo itinerario possibile, quello
dell’ironia.
Kundera
crea, dunque, un genere di scrittura nuovo ed originale, il romanzo
post-moderno, che sostanzia la formula narrativa di un complesso
contenuto filosofico-esistenziale: esso fonde,in fatti, linguaggi e
messaggi, estetica e politica, psicologia e sociologia, poesia e
letteratura, in uno straordinario crogiuolo, attraverso un ironico e
destrutturante rimescolarsi di vite. Si tratta, appunto, del
“romanzo filosofico”, che associa intenti spiccatamente
estetico-narrativi con un impegno molto più profondo e problematico,
per quanto pervaso dalla “leggerezza” dell’ironia.
Tale
impegno è d’altra parte riconoscibile in una vasta gamma di
scrittori contemporanei, da Proust a Salinger, da Joyce a Kerouack,
da Dickens a Bucowski, da Nabokov a Orwell, da Nietzsche a Gibran,
fino al nostro illustre Umberto Eco ed alla vena di sfumata,
disincantata e comunque divertita ironia che traluce dai suoi
romanzi.
Se,
perciò, Kundera e tutti gli altri prosatori hanno raggiunto un
livello di complessità e spessore intellettuale ed artistico tale da
sfiorare le vette più elevate del genio estetico-letterario, Maria
Letizia Gangemi non si dimostra affatto di inferiore levatura nel
saper costruire un intreccio tanto appassionante quanto pervaso di
sensibilità, profondità, impegno politico, raffinata capacità
tecnico-stilistica. L’autrice, infatti, affida alla propria
narrazione importanti messaggi riguardo al senso profondo di
sentimenti essenziali come l’umana solidarietà, l’amicizia e,
naturalmente, l’amore, sia filiale che di coppia, quali legami
autentici tra tutti gli esseri viventi, umani e non. Il romanzo
disegna, appunto, attraverso i desideri, una rete magica di
corrispondenze e coincidenze, che sembra misteriosamente guidare
ciascun personaggio verso il proprio segreto destino.
Il
mondo degli uomini con le sue ombre e la natura, il mare, in
particolare, con tutta la sua energia e bellezza, non fanno soltanto
da sfondo alle vicende, ma le pervadono di un significato ancestrale
e fortemente simbolico.
Ornella Carrino
Taranto, 8 marzo ’14
Poiché non riesco ad aggiungere altre foto, posto questa bella recensione di Ornella, mia cara amica e docente presso il Liceo Aristosseno di Taranto, la sua mi sembra una gran bella recensione...
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